Ue e Unione africana a raduno dal 29 al 30 novembre ad Abidjan (Costa D'Avorio) sulle macerie di scelte politico-economiche e ambientali

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L'Unione europea e l'Unione africana si ritrovano nel loro 5° summit dal 29 al 30 novembre ad Abidjan (Costa D'Avorio), a distanza di 17 anni dall'accordo adottato in sostituzione della Convenzione di Lome (Togo) del 1975, sulle macerie di scelte politico-economiche e ambientali imposte all'Africa non senza la complicità di alcuni dirigenti africani. L'accordo di Cotonou (Benin) del 2000, firmato tra la Ue e il gruppo degli stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, con scadenza nel mese di febbraio del 2020 mirava, secondo i suoi promotori, a sradicare la povertà poggiando su tre pilastri:

• la cooperazione allo sviluppo
• la cooperazione economica e commerciale
• la dimensione politica

Oggi il contesto non è quello della Conferenza di Berlino, tenutasi dal 15 novembre 1884 al 26 febbraio 1885, con la spartizione del continente africano tra Germania, Francia, Portogallo, Italia, Spagna, Danimarca, Belgio, Olanda, Austria, Turchia (allora Impero ottomano), Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti senza che gli africani potessero dire una sola parola mentre venivano decisi il presente e il futuro di un intero continente.  Dopo 132 anni da quella conferenza, l’Africa vive ancora, insieme alle sue popolazioni, con un cappio al collo nonostante la crescita macroeconomica. L'Africa oggi ha circa 1,25 miliardi di abitanti, sul totale di 7,5 miliardi della popolazione mondiale, il 60% dei quali ha meno 25 anni.

L’impoverimento sistematico e continuo del continente africano è ascrivibile ai danni del fenomeno coloniale e neoloniale, ma anche a fattori quali i conflitti geopolitici, spesso orchestrati direttamente o indirettamente da chi oggi alza muri e fili spinati. Non è infatti casuale che 489 milioni delle 815 milioni di persone ridotte alla fame vivano in paesi colpiti da conflitti.
 
Non bastasse questo quadro, va denunciato come nuovi fenomeni quali la sottoscrizione di accordi iniqui - spesso sotto ricatto - stanno facendo sprofondare ancora di più nella miseria e nel caos l’intero continente insieme alla sua giovane popolazione.
L'indipendenza  economica continua ad essere ostacolata, eppure essa sola è “il preludio di una lotta nuova e più complessa per la conquista del diritto di gestire le nostre questioni economiche e sociali, fuori dalle pressioni schiaccianti ed umilianti della dominazione e dell'intervento neocolonialista” come diceva Kwame Nkrumah.

A tal proposito è da notare che dal 1945, la moneta di scambio dei paesi dell'Africa occidentale e dell'Africa centrale continua ad essere il Franco CFA (franco delle colonie francesi africane). Oggi, il valore del franco CFA, con il suo collegamento all'euro, è determinato molto di più dagli avvenimenti in seno alla zona euro (1 euro = 655,957 F CFA) che dalla congiuntura in seno paesi dove viene utilizzato questa moneta, come sottolineato dall'economista Kako Nubukpo. Così la vita monetaria ed economica alle Comores ed in quattordici Stati in Africa (Benin, Burkina Faso, Camerun, Costa d'Avorio, Gabon, Guinea-Bissau, Guinea equatoriale, Mali, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Senegal, Ciad, Togo) resta legata, dopo più di settant'anni “dall'indipendenza”, a una politica monetaria imposta dalla Francia.  Quindi un controllo totale e sistematico anche attraverso i depositi bancarie obbligatori della Banca Centrale francese
 
Parliamo quindi di accordi firmati in un'ottica di dominazione mentre risorse naturali e umane vengono saccheggiate. In altri termini parliamo di processi di colonizzazione che possiamo sintetizzare nelle parole di Aimé Césaire in questi termini: “Tra il colonizzatore e il colonizzato, c'è posto solo per il lavoro duro, l'intimidazione, la repressione, la polizia, l'imposta, il ladrocinio, lo stupro, le imposizioni culturali, il disprezzo, la sfiducia, l'alterigia, la sufficienza, la villania, élites senza cervello, masse avvilite. Nessuno spazio per il contatto umano, ma rapporti di dominazione e di sottomissione che trasformano l'uomo colonizzatore in pedina, in maresciallo, in guardia-ciurme, in frusta e l'indigeno in strumento di produzione. Adesso tocca a me porre un'equazione: colonizzazione = cosificazione.”
 
L'appuntamento di Abidjan, che va letto anche in ottica di riposizionamento rispetto alla presenza di alcuni paesi dei BRICS (Brazile, Russia, India, Cina e Sud-Africa) quali la Cina in particolare sul Continente, vede al centro temi quali:

• pace e sicurezza
• governance, democrazia, diritti umani, migrazioni e mobilità
• investimenti e commercio
• sviluppo di competenze
• creazione di posti di lavoro

Come già avvenuto in più circostanze, si tratta di “maquillage” linguistico per camuffare e manipolare la realtà rispetto alle disuguaglianze sociali con tassi di disoccupazione equiparabili ad una bomba a orologeria. Proprio le scelte economiche, attraverso la balcanizzazione dell'Africa da parte di multinazionali europee, asiatiche, e statunitensi, trasformano l’intera popolazione africana in dannati della globalizzazione, con la fuga di persone di ogni età verso i confini militarizzati da parte della stessa Ue.

Occorre prendere atto della dimensione disumana e ricattatoria di questi vari accordi, compresa la Strategia comune Ue - Africa del 2007 e l'accordo firmato al vertice di La Valletta (Malta) nel 2015, che dovrebbero portare l'Italia, insieme alla Ue e all'Unione Africana, ad interrogarsi sulle proprie responsabilità morali davanti ai corpi senza vita migliaia di persone morte nel Mediterraneo e nel deserto. Tuttavia questi governanti non sembrano aver l'intenzione di interrogarsi sulle conseguenze del loro operato e della distanza che li separa dal popolo. Già Thomas Sankara, assassinato 30 anni fa, diceva che: “Preferiamo un passo col popolo che dieci passi senza il popolo”.
 
Le popolazioni, preso atto di questa distanza, hanno avviato processi di costruzione di una coscienza collettiva attraverso iniziative sociali, culturali e di piazza contro l'operato dei dirigenti europei ed africani. La ricerca di convergenze tra i dannati delle politiche di austerità, sia in Africa che in Europa, non può che essere un obiettivo da perseguire. Prova di questa convergenza, oltre alle infinite denunce contro questi accordi e contro ogni forma di schiavitù, è il Summit alternativo “Europa-Africa” in corso sempre in Costa D'Avorio, che vede la partecipazione di delegazioni della CISPM (Coalizione Internazionale Sans Papiers, Migranti, Rifugiati e Richiedenti Asilo), di studenti, contadini, associazioni per la giustizia sociale, di movimento di donne, di lavoratori e disoccupati. Tante le iniziative e gli argomenti al centro dei lavori: giovani e disoccupazione, debiti e nuove forme di colonizzazione, guerre, ambiente, agricoltura, accordi bilaterali e militarizzazione delle frontiere, accaparramento delle terre e sovranità alimentare, lotte sindacali e sociali, libertà di circolazione e di residenza, risorse miniere e naturale, ecc...
 
Il Summit alternativo “Europa-Africa” va a rafforzare un processo che si vuole popolare coinvolgendo tutti gli esclusi e dannati della globalizzazione, indipendentemente dal colore della pelle, proprio come diceva Toma Sankara: “Le masse popolari in Europa non sono opposte alle masse popolari in Africa ma quelli che vogliono sfruttare l'Africa, sono gli stessi che sfruttano l'Europa; abbiamo un nemico comune.”

E la manifestazione del 16 dicembre prossimo a Roma sarà un'altra occasione per fa vivere questa necessità di convergenza, poiché le popolazioni in Africa che in Europa sono col  cappio al collo per via delle stesse politiche che stanno producendo una guerra alle persone e Continenti impoverite.