La legge NON è uguale per tutti
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”: questo è scritto all'art. 3 della Costituzione italiana pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 1947, n. 298.
Quindi è compito dello Stato, attraverso le sue articolazioni, a partire dal Parlamento, dal Governo e dalla Magistratura, rimuovere ogni ostacolo che limiti l'affermazione di questo principio d'uguaglianza, senza alcuna distinzione. Un principio che il decreto Minniti – Orlando, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 febbraio, n°13, viola e cancella di fatto per una parte della popolazione.
Nei centri delle città, nelle periferie e nelle campagne d'Italia, questo principio d'uguaglianza è stato sistematicamente e scientemente violato ai danni di una parte della popolazione, attraverso l'istituzione di alcuni dispositivi legislativi. Queste leggi non solo sono l'espressione del modello di società che si vuole costruire, ma soprattutto lo strumento che produce il tessuto culturale per la realizzazione e legittimazione di tale società. Cosi i vari governi e giunte regionali e comunali (basti ricordare leggi come la Turco-Napolitano, il decreto Renzi - Lupi e la Bossi-Fini queste ultime ancora in vigore) hanno trovato nei migranti e nei profughi il terreno per la violazione di quel principio d'uguaglianza sancito nella Costituzione.
L'insieme di queste norme mirano sempre più ad alzare un “muro”. È già avvenuto per i migranti/profughi da una parte e il resto della popolazione dall'altra. Si tratta di un processo di razzializzazione della popolazione in base a criteri che comprendono e vanno anche oltre la dimensione materialista relativa al PROFITTO.
E la storia del Sud-Africa ci ricorda il processo attraverso cui viene istituito il sistema “apartheid”, che significa “separazione”. Negli anni 50 ai danni della popolazione nera. L'apartheid viene introdotta con una doppia separazione: razziale e geografico spaziale. Cosi vennero espulsi i neri confinandoli attraverso la repressione fisica e giuridica da parte del potere bianco. Però la storia scritta dai dominanti ci dice che l'apartheid è finita. Anche se quello economico rimane ancora in piede dopo la vittoria sull'apartheid politico.
Perché richiamare il Sud-Africa mentre parliamo dell'Italia?
Ciò che lega questi due paesi, mentre sono distanti geograficamente e non solo, è questa “separazione” ossia la negazione di diritti in modo sistematico ai migranti separandoli giuridicamente.
E il decreto Minniti – Orlando detto “Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale”, introduce la “disuguaglianza” delle persone nei procedimenti giudiziali. Nello specifico il decreto nega il principio d'uguaglianza, già sancito dalla Costituzione, in base alla diversa provenienza geografica delle persone. Il decreto nega ai soli profughi il diritto di ricorrere ai vari gradi di giudizi fin'ora previsti dall'ordinamento giudiziario. Un meccanismo che finirà per coinvolgere l'intera popolazione negandole l'accesso a un equo processo, indipendentemente dal colore della pelle e dalla classe economico-sociale.
Cosi dopo 67 anni dall'istituzione dell'apartheid in Sud-Africa, l'Italia rischia di rispolverare i sintomi di una delle forme di quella “separazione”, già avvenuto con la ghettizzazione dei braccianti nelle campagne e con il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, che Nelson Mandela e tanti altri hanno combattuto per anni.
Il decreto Minniti – Orlando è la punta dell'iceberg di una cultura che trova interesse a categorizzare i migranti e i profughi ai fini dello sfruttamento sociale e lavorativo. È compito nostro contrastare questo processo di razzializzazione, a partire da una profonda riflessione e analisi e ad una conseguente presa di coscienza, rifiutando qualsiasi tentativo di omologazione. L'esplosione della povertà di massa e la sua concentrazione sono il generalizzarsi degli effetti di questa politica che non si limita più ai migranti o ai profughi.
Ed è qui che la ricerca di forme di ricomposizione a partire dai bisogni comuni, valorizzando le diversità allo stesso tempo anziché colpevolizzarli, diventa una prospettiva imprescindibile.