Lavoro nero, infortuni e lavoro grigio
Fra gli obblighi delle aziende, c’è quello di comunicare l’assunzione, almeno il giorno prima, ai Centri per l’impiego, strutture ormai svuotate di un effettivo ruolo pubblico. Nelle comunicazioni vengono inserite le qualifiche, il livello d’inquadramento, l’orario ed il periodo di lavoro, oltre, naturalmente, i dati dell’azienda ed anagrafici del lavoratore. Se, ad esempio, ogni Centro per l’impiego si dotasse di un “organismo di controllo” sulle assunzioni, potrebbe segnalare agli enti competenti, le “anomalie” in esse riscontrate. Sarebbe, tra l’altro, rilevato che: a parità di qualifica, lo straniero, viene assunto con rapporto part-time, rispetto l’autoctono (e ciò risulta inconcepibile in settori come quello edile o dei pubblici esercizi); vengono usati inopinatamente contratti a progetto per lavori generici (ma perfino come “addetti al marketing”!!), anche da ambulanti o da cooperative; alcuni lavoratori, già assunti da un specifica ditta, tornano ad essere riassunti dalla medesima, dopo le “dimissioni”, in prossimità della scadenza del permesso di soggiorno. Non stiamo affermando nulla di nuovo: questo mercimonio è consolidato ed investe molte tipologie di datori.
Sembra esserci in circolazione troppa ipocrisia e scarsa considerazione per un fenomeno, che investe i lavoratori tutti ed in particolare quelli immigrati. Un fenomeno che, a chi è aduso ad ergersi a difensore dei suddetti, dei diritti sociali e farsi portavoce delle istanze dei meno garantiti non dovrebbe sottovalutare. Un fenomeno, che non riesce ad emergere causa complicità, “distrazioni” ed omissioni di larga parte del mondo imprenditoriale, politico e sindacale.
Tali dinamiche, comportano una serie di problematiche sociali, che investono:
1 ) i diritti degli immigrati e la loro eguaglianza con gli autoctoni nell’ambito del mercato del lavoro;
2 ) la prevenzione e la lotta allo sfruttamento e alla filiera d’illegalità, che esso implica ( a qualsiasi livello e contesto );
3) la scomparsa di fenomeni xenofobi e razzistici, derivati dalla “concorrenza” dello straniero, troppo frequentemente individuato come un ladro di lavoro;
4 ) la riqualificazione salariale per tutti i lavoratori ed il rafforzamento dei diritti sindacali.
Riteniamo, che solo la costante rilevazione di abusi possa essere utile alle esigenze dello straniero, non più costretto a sottostare ai ricatti del mercato del lavoro e di chi sfrutta i suoi meccanismi.
La Regione Lazio, tra le sue prerogative, ha il compito di indirizzare le Province in materia delle politiche del lavoro, offrendo loro anche strumenti idonei alla prevenzione della “cattiva occupazione”.
La questione, oltre che metodologia, è sostanzialmente politica.
La Provincia di Roma, ad esempio, a tutt’oggi, ha implementato diversi progetti, inerenti l’immigrazione, investendovi diversi milioni. Ha attivato i Centri servizi immigrati, presso i Centri per l’impiego, tramite la società Capitale lavoro spa ( ad aprile 2006, la Regione ha stanziato per i CSI un milione 478 mila euro). Ma non è intervenuta sulla vergognosa situazione cui sono costretti gli immigrati, che accedono al “lavoro”. Le indagini statistiche si rifanno spesso alle banche dati della Camera di commercio, che a sua volta interpella le proprie Associazioni di categoria, le quali non sempre offrono risposte veritiere. Pur comprendendo la disastrosa situazione della banca dati dei Centri, inattendibile perché mai aggiornata, l’uso del materiale a disposizione, potrebbe essere utile per finalizzare un intervento mirato a contrastare l’illegalità dominante.
Una scelta, politicamente suicida, è stata quella di aver abbandonato la banca dati dei lavoratori domestici (pubblica, trasparente e gratuita), attivata sotto la Giunta Moffa, favorendo così agenzie private ed agenzie di somministrazione lavoro.
Incapacità gestionali, dirigenziali, scarsa sensibilità verso le problematiche dell’immigrazione, opportunismi politici, ipocriti atteggiamenti, hanno trasformato l’immigrato in fonte affaristico/clientelare. Colpe, non incompetenze.
Basterebbero, volendo, semplici verifiche sulle assunzioni, invece che attendere controlli ispettivi (che potrebbero anche non arrivare) o contesti vertenziali
ü Le Province devono garantire una banca dati affidabile ed efficiente.
ü I Centri per l’impiego, dovrebbero monitorare le aziende assuntrici di personale straniero (si parla di monitoraggio e non di controlli in loco, che spettano ad altre strutture ).
ü Le Province dovrebbero attivare banche dati per l’inserimento di personale domestico e servizi alla persona con implementazione di “sportelli” dedicati alla ricezione di “denunce” e abusi contrattuali ed al monitoraggio delle assunzioni. Questo per una serie di motivi: l’orario di lavoro dichiarato, non corrisponde quasi mai alle reali prestazioni; le retribuzioni, spesso, non corrispondono alle norme contrattuali; oltre i servizi alle persone, anziani ed infermi, si fa carico all’immigrato di adempiere anche alle incombenze domestiche.
ü Occorre garantire i lavoratori immigrati, che partecipano alle preselezioni (incontro domanda/offerta lavoro), spesso rifiutati dalle aziende, con vari pretesti.
ü Una particolare attenzione deve essere posta riguardo le cooperative, settore troppo spesso soggetto all’instaurazione di rapporti di lavoro precari e fittizi (con eccessivi oneri economici per l’immigrato), derivati dalle gare al ribasso per ottenere gli appalti e dalla relazione spesso“intima” con gli enti locali.
La legalità ed i diritti reali passano anche attraverso la credibilità dei Servizi erogati e delle Amministrazioni competenti.
Roma Novembre 2007 Immigrati Roma RdB-CUB