ROSARNO: SOUMAHORO (RDB), E' IL FRUTTO DI UNA CONDIZIONE SCHIAVISTA
“I fatti di Rosarno sono soprattutto frutto di una condizione lavorativa schiavista, nella quale i lavoratori immigrati sono costretti a subire ogni tipo di umiliazione e vessazione”, afferma Aboubakar Soumahoro, responsabile Nazionale Immigrazione del sindacato RdB.
Continua Soumahoro: “L’introduzione del pacchetto sicurezza col reato di clandestinità e il contratto di soggiorno con la legge Bossi-Fini sono due facce della stessa medaglia che hanno, di fatto, alimentato e creato in alcuni casi una situazione di razzismo e odio sociale e lavorativo, e che tolgono ogni strumento di tutela sindacale e giuridica agli immigrati. Molti dei ragazzi sono inoltre richiedenti asilo, lavoratori licenziati per via della crisi in corso, che si ritrovano anche preda della criminalità organizzata e non”.
“La politica dell’essere cattivo con i clandestini, come sollecitato a suo tempo dal Ministro dell’Interno Maroni – conclude il responsabile RdB – dimostra il fallimento legislativo e la mancanza della cultura dell’inclusione, del rispetto dei diritti e delle diversità”.
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9 gennaio 2010 - Il Manifesto
I RIBELLI · Nei campi gli espulsi dal lavoro
Da nord verso il sud, gli stagionali della crisi
di Cinzia Gubbini
Sono gli ultimi arrivati, quelli che ancora non parlano bene italiano, quelli che intanto trovano lavoro usando le braccia. Sono i richiedenti asilo, quelli che hanno in tasca un documento che li salva dalle espulsioni ma che gli impedisce di lavorare. Sono quelli più fragili, perché non riescono a trovare un inserimento lavorativo di livello maggiore.
Da quindici anni nelle campagne italiane (non solo quelle del sud) il raccolto passa per le mani dei migranti, principalmente africani ed est europei, vittime di condizioni paraschiavistiche del lavoro. Ultimamente il numero si è un po' ingrossato: a raccogliere pomodori, agrumi, olive, fragole e mele ci sono anche gli espulsi dalle fabbriche, il prodotto della crisi. Nei campi di Puglia, Campania, Sicilia e Basilicata si sente parlare bergamasco e trevigiano.
Ma il numero dei cosiddetti «stagionali» - si stima in 50-70 mila lavoratori, per quanto sia impossibile circoscrivere con esattezza il fenomeno - non supera di certo quello degli operai o delle badanti con passaporto straniero. Rimane un fenomeno minoritario, e marginale per le condizioni di vita e di lavoro. La caratteristica degli stagionali è la migrazione nella migrazione: dalla Sicilia, alla Puglia, alla Campania, su fino al Trentino a spostarsi spesso sono le stesse persone. La Capitanata, la Piana del Sele, il siracusano si riempiono e si svuotano come crescono e muoiono le piante. «È un numero programmabile - sottolinea Piero Soldini, responsabile immigrazione della Cgil - si sa quante persone arrivano ogni anno nei vari distretti, la falla sta in un sistema di accoglienza inesistente». Nella volontà, in parole povere, da parte dei governi nazionale e locali di ignorare il fenomeno e di pensare che il bracciantato possa vivere nei cartoni o negli edifici dismessi senza fare rumore. Ad accendere la miccia, secondo Soldini, «c'è senza dubbio un clima razzista che scatena la guerra fra poveri».
Ma di fatto rimane il nocciolo della questione: il lavoro nelle campagne è per «elezione» sommerso e al nero. Tra le persone con la schiena piegata sui campi per dodici ore al giorno, c'è anche chi un permesso di soggiorno ce l'ha ma non otterrà mai un contratto di lavoro regolare. E su questo punto nemmeno il governo della «tolleranza zero» è capace di mettere soluzione sul tavolo. «Persone che ieri erano nelle fabbriche oggi vanno a raccogliere perché almeno possono guadagnare quel che basta per mangiare», dice Aboubakhar Soumahoro, responsabile immigrazione delle Rdb, che ricorda i numeri: nel 2009 la crisi economica ha aumentato la disoccupazione tra gli italiani dello 0,6%, tra gli immigrati del 2,2%. «Solo che per uno straniero - insiste Soumahoro - non esistono nemmeno quei minimi ammortizzatori sociali che permettano a un lavoratore di rimanere a galla». Il ritorno alla campagna - o la campagna come prima occupazione in Italia - è il simbolo dell'esclusione: da uno status sociale e lavorativo che si è perso o da uno che si deve ancora conquistare. I supersfruttati delle campagne sono alla mercè del caporale e della polizia che viene chiamata puntualmente a fine raccolto, e che con gli sgomberi porta via anche le ultime paghe. Contemporaneamente lo strumento legale per l'ingresso dei lavoratori immigrati, il decreto flussi, continua a centellinare i posti in agricoltura: 80 mila nel 2009, di cui 5.500 per la Calabria. Probabilmente non sarebbe quello il principale strumento usato dai moderni latifondisti e mezzadri, ma almeno ci sarebbe meno ipocrisia.
Per i sindacati e le associazioni la strada rimane una: quella di utilizzare l'articolo 18 - la possibilità per la persona sfruttata di ottenere un permesso di soggiorno se denuncia il suo sfruttatore, e finora usato solo con le prostitute - anche nelle fabbriche e nei campi. Lo aveva promesso il governo di centrosinistra, deludendo le aspettative. Le proposte di legge che giacciono in parlamento rimarranno lettera morta. Per l'attuale sistema che governa l'agricoltura (che in Italia rappresenta il 15% del Pil, compreso servizi e distribuzione) il sommerso è una ricchezza. Per i lavoratori il campo è soltanto garanzia di esclusione. Cinzia Gubbini
Sono gli ultimi arrivati, quelli che ancora non parlano bene italiano, quelli che intanto trovano lavoro usando le braccia. Sono i richiedenti asilo, quelli che hanno in tasca un documento che li salva dalle espulsioni ma che gli impedisce di lavorare. Sono quelli più fragili, perché non riescono a trovare un inserimento lavorativo di livello maggiore.
Da quindici anni nelle campagne italiane (non solo quelle del sud) il raccolto passa per le mani dei migranti, principalmente africani ed est europei, vittime di condizioni paraschiavistiche del lavoro. Ultimamente il numero si è un po' ingrossato: a raccogliere pomodori, agrumi, olive, fragole e mele ci sono anche gli espulsi dalle fabbriche, il prodotto della crisi. Nei campi di Puglia, Campania, Sicilia e Basilicata si sente parlare bergamasco e trevigiano.
Ma il numero dei cosiddetti «stagionali» - si stima in 50-70 mila lavoratori, per quanto sia impossibile circoscrivere con esattezza il fenomeno - non supera di certo quello degli operai o delle badanti con passaporto straniero. Rimane un fenomeno minoritario, e marginale per le condizioni di vita e di lavoro. La caratteristica degli stagionali è la migrazione nella migrazione: dalla Sicilia, alla Puglia, alla Campania, su fino al Trentino a spostarsi spesso sono le stesse persone. La Capitanata, la Piana del Sele, il siracusano si riempiono e si svuotano come crescono e muoiono le piante. «È un numero programmabile - sottolinea Piero Soldini, responsabile immigrazione della Cgil - si sa quante persone arrivano ogni anno nei vari distretti, la falla sta in un sistema di accoglienza inesistente». Nella volontà, in parole povere, da parte dei governi nazionale e locali di ignorare il fenomeno e di pensare che il bracciantato possa vivere nei cartoni o negli edifici dismessi senza fare rumore. Ad accendere la miccia, secondo Soldini, «c'è senza dubbio un clima razzista che scatena la guerra fra poveri».
Ma di fatto rimane il nocciolo della questione: il lavoro nelle campagne è per «elezione» sommerso e al nero. Tra le persone con la schiena piegata sui campi per dodici ore al giorno, c'è anche chi un permesso di soggiorno ce l'ha ma non otterrà mai un contratto di lavoro regolare. E su questo punto nemmeno il governo della «tolleranza zero» è capace di mettere soluzione sul tavolo. «Persone che ieri erano nelle fabbriche oggi vanno a raccogliere perché almeno possono guadagnare quel che basta per mangiare», dice Aboubakhar Soumahoro, responsabile immigrazione delle Rdb, che ricorda i numeri: nel 2009 la crisi economica ha aumentato la disoccupazione tra gli italiani dello 0,6%, tra gli immigrati del 2,2%. «Solo che per uno straniero - insiste Soumahoro - non esistono nemmeno quei minimi ammortizzatori sociali che permettano a un lavoratore di rimanere a galla». Il ritorno alla campagna - o la campagna come prima occupazione in Italia - è il simbolo dell'esclusione: da uno status sociale e lavorativo che si è perso o da uno che si deve ancora conquistare. I supersfruttati delle campagne sono alla mercè del caporale e della polizia che viene chiamata puntualmente a fine raccolto, e che con gli sgomberi porta via anche le ultime paghe. Contemporaneamente lo strumento legale per l'ingresso dei lavoratori immigrati, il decreto flussi, continua a centellinare i posti in agricoltura: 80 mila nel 2009, di cui 5.500 per la Calabria. Probabilmente non sarebbe quello il principale strumento usato dai moderni latifondisti e mezzadri, ma almeno ci sarebbe meno ipocrisia.
Per i sindacati e le associazioni la strada rimane una: quella di utilizzare l'articolo 18 - la possibilità per la persona sfruttata di ottenere un permesso di soggiorno se denuncia il suo sfruttatore, e finora usato solo con le prostitute - anche nelle fabbriche e nei campi. Lo aveva promesso il governo di centrosinistra, deludendo le aspettative. Le proposte di legge che giacciono in parlamento rimarranno lettera morta. Per l'attuale sistema che governa l'agricoltura (che in Italia rappresenta il 15% del Pil, compreso servizi e distribuzione) il sommerso è una ricchezza. Per i lavoratori il campo è soltanto garanzia di esclusione.
8 gennaio 2010 - Adnkronos
IMMIGRATI: RDB, I FATTI DI ROSARNO FRUTTO DI CONDIZIONE SCHIAVISTA
Roma, 8 gen.(Adnkronos) - «I fatti di Rosarno sono soprattutto frutto di una condizione lavorativa schiavista, nella quale i lavoratori immigrati sono costretti a subire ogni tipo di umiliazione e vessazione». È Aboubakar Soumahoro, responsabile Nazionale Immigrazione del sindacato RdB a commentare la 'rivoltà nella cittadina calabrese. «L'introduzione del pacchetto sicurezza col reato di clandestinità e il contratto di soggiorno con la legge Bossi-Fini sono due facce della stessa medaglia che hanno, di fatto, alimentato e creato in alcuni casi una situazione di razzismo e odio sociale e lavorativo, e che tolgono ogni strumento di tutela sindacale e giuridica agli immigrati. Molti dei ragazzi, infatti, hanno richiesto asilo o sono stati licenziati per via della crisi in corso, e si ritrovano anche preda della criminalità organizzata e non». «La politica dell'essere cattivo con i clandestini, come sollecitato a suo tempo dal ministro dell'Interno, Maroni dimostra il fallimento legislativo e la mancanza della cultura dell'inclusione, del rispetto dei diritti e delle diversità».
8 gennaio 2010 - Ansa
ROSARNO: SOUMAHORO (RDB),FRUTTO DI UNA CONDIZIONE SCHIAVISTA
(ANSA) - ROMA, 8 GEN - «I fatti di Rosarno sono soprattutto frutto di una condizione lavorativa schiavista, nella quale i lavoratori immigrati sono costretti a subire ogni tipo di umiliazione e vessazione». Lo afferma Aboubakar Soumahoro, responsabile immigrazione del sindacato RdB. «L'introduzione del pacchetto sicurezza col reato di clandestinità e il contratto di soggiorno con la legge Bossi-Fini sono due facce della stessa medaglia che hanno, di fatto, alimentato e creato in alcuni casi una situazione di razzismo e odio sociale e lavorativo, e che tolgono ogni strumento di tutela sindacale e giuridica agli immigrati. Molti dei ragazzi sono infatti richiedenti asilo, lavoratori licenziati per via della crisi in corso, che si ritrovano anche preda della criminalità organizzata e non». «La politica dell'essere cattivo con i clandestini, come sollecitato a suo tempo dal ministro dell'Interno Maroni - conclude il responsabile RdB - dimostra il fallimento legislativo e la mancanza della cultura dell'inclusione, del rispetto dei diritti e delle diversità».
8 gennaio 2010 - Iris
ROSARNO: SOUMAHORO (RDB), E’ IL FRUTTO DI UNA CONDIZIONE SCHIAVISTA
(IRIS) - ROMA, 8 GEN - "I fatti di Rosarno sono soprattutto frutto di una condizione lavorativa schiavista, nella quale i lavoratori immigrati sono costretti a subire ogni tipo di umiliazione e vessazione", afferma Aboubakar Soumahoro, responsabile Nazionale Immigrazione del sindacato RdB. Continua Soumahoro: "L’introduzione del pacchetto sicurezza col reato di clandestinità e il contratto di soggiorno con la legge Bossi-Fini sono due facce della stessa medaglia che hanno, di fatto, alimentato e creato in alcuni casi una situazione di razzismo e odio sociale e lavorativo, e che tolgono ogni strumento di tutela sindacale e giuridica agli immigrati". "Molti dei ragazzi sono infatti richiedenti asilo, lavoratori licenziati per via della crisi in corso, che si ritrovano anche preda della criminalità organizzata e non". "La politica dell’essere cattivo con i clandestini, come sollecitato a suo tempo dal Ministro dell’Interno Maroni – conclude il responsabile RdB – dimostra il fallimento legislativo e la mancanza della cultura dell’inclusione, del rispetto dei diritti e delle diversità".