Bologna Migliaia in piazza per la chiusura dei centri
4 marzo 2007 - Il Manifesto
Bologna Migliaia in piazza per la chiusura dei centri. Assenti parlamentari e partiti
Movimento solo contro i cpt
In corteo centri sociali e immigrati arrivati da tutta Italia. C'è anche Oreste Scalzone. Slogan e striscioni contro il governo e contro la proposta Amato di «superamento» dei centri di permanenza temporanea. Carica della polizia davanti a via Mattei: due manifestanti feriti e cinque fermati, poi rilasciati
di Cinzia Gubbini
Bologna - Martelli pneumatici e cemento a presa rapida. Tempo mezzora e sull'asfalto di via Mattei a Bologna vengono piantati tre cartelli. Opera di un gruppo di ragazzi coperti con cappucci e protetti da un cordone di attivisti dei centri sociali. Avvisi all'automobilista che transita sulla provinciale dove sorge il centro di permanenza temporanea per migranti. Il più grande dice: «Attenzione, lager a 200 metri». Azione «disobbediente» che raccoglie applausi, efficace blitz comunicativo al termine di una manifestazione che ha portato migliaia di persone in strada, diecimila secondo gli organizzatori. Poco prima c'era stato il fronteggiamento muscolare con il cordone della polizia che «proteggeva» il cpt dell'ex caserma Chiarini. Qualche manganellata, fumogeni, diversi feriti di cui tre portati via in ambulanza. La questura aveva fatto sapere che non sarebbe stato permesso al corteo di raggiungere il cpt. E così è stato, nonostante un mezzo tentativo di sfondamento. D'altronde a nessuno interessava, per dire la verità, far esplodere il «caso» della manifestazione finita a botte. La cosa fondamentale, per i promotori, era far vedere che i cortei riescono anche al di fuori dei rapporti con i partiti di centrosinistra. Avevano ragione. Era una scommessa, e non facile. Partiti e sindacati non si sono fatti vedere, eccezion fatta per la federazione provinciale dei Verdi di Bologna e lo spezzone pieno di bandiere delle Rdb. Assente anche tutto l'associazionismo «classico». Incompatibilità con una piattaforma dura, che ha tracciato un'analisi spietata della strada imboccata dal governo sulle politiche migratorie. «No alla proposta Amato, sanatoria per tutti, chiudere i cpt», diceva uno degli striscioni in testa al corteo, portato dal movimento di lotta per la casa di Firenze e retto da una fila di immigrati. Saranno anche cose impossibili da mettere in pratica per chi governa. Ma è quello che parecchie persone ritengono sarebbe giusto fare.
I migranti lo spiegano chiaramente: «Sono cinque anni che sono qui, sono praticamente arrivato con la Bossi-Fini - racconta Tahir, bangladesho - non ho mai avuto un permesso di soggiorno. Lavoro, non faccio niente di male, e però non va bene». Discorsi semplici, perché semplice è la questione. «Qui c'è il tredicesimo punto che manca nel dodecalogo di Prodi - osserva Aboubakar Soumahoro della rete antirazzista campana - l'esercito dei 700 mila immigrati clandestini creati dalla Bossi-Fini, che c'erano prima delle elezioni e continuano a esserci adesso, e che nessuno ci spiega cosa dovrebbero fare».
C'è il sole, è una bella giornata, il percorso del corteo lunghissimo. Dai camion pompa la musica, quello del centro sociale bolognese Tpo è pieno di striscioni: «Ho smontato un cpt e lo rifarei», «Governo Prodi, giunta Cofferati, vergogna». Dal microfono è un uomo africano a ricordare che «quando il sindaco era il segretario della Cgil mi diceva che gli immigrati devono avere piena cittadinanza. Oggi dice e fa cose diverse. Allora vogliamo avere il diritto di voto, daccelo che ti mandiamo a casa». Passa lo spezzone di Milano, quello di Torino, i friulani, tantissimi i padovani, parecchia gente è arrivata anche dalla Puglia, dalle Marche, dalla Campania. Da Genova, dove alla partenza è stato fermato un cittadino ecuadoriano senza permesso di soggiorno, sono arrivati con il centro sociale Zapata i ragazzi della «banda» dei Latin King: «Sì però poi basta chiamarci banda, lo dice chi non ci conosce, potrei dire che la polizia che picchia è una banda», chiarisce Alfredo Abar, arrivato in Italia per ricongiungersi con i suoi genitori nove anni fa, quando aveva 14 anni. Giovane e determinato, uguale a tutti gli altri intorno a lui, e come le decine di ragazzi di chiara origine straniera che sono arrivati con i loro compagni delle università, delle occupazioni, delle realtà di lotta per la casa. Cittadini a tutti gli effetti, «seconde generazioni» ma ancora legati al permesso di soggiorno e a una concezione dell'immigrazione ferma a quindici anni fa, quando le rivendicazioni erano legate solo al lavoro. Nel corteo si parla di cittadinanza di residenza, di diritto alla casa, della necessità di fare «un salto di paradigma».
C'è anche Oreste Scalzone, che da quando è tornato dall'«esilio» di Parigi è «il contrario di un rom che si sedentarizza». Va, partecipa. E dice: «bisogna tenere la testa fuori. L'autonomia non è un'utopia, è un punto di vista. Significa sapere, e vedere, che c'è un altro orizzonte». Estrema sintesi di un lungo ragionamento, da Marx a Prudhon, da Spinoza a Colbert.
Il corteo lascia il centro della città alle spalle. Via Mattei è uno stradone, con la campagna intorno. In testa, principalmente padovani e bolognesi, che governano il faccia a faccia con la polizia che sbarra la strada. Tre file di cordoni, tutti i partecipanti invitati a rimanere dietro, prima fila che si barrica dietro ai cartelloni e avanza compatta. Dall'altra parte, scudi in vista, manganelli in mano e caschi in testa. Parte la carica. Qualcuno si fa male sul serio. La polizia ferma cinque persone. Ormai è sera. Dal camion del Tpo si invita alla calma. La trattativa si concentra sul rilascio dei fermati. Alla fine c'è la liberazione, sotto il flash dei fotografi. Qualcuno si arrabbia perché avrebbe voluto «sfondare». Invece si torna indietro al grido «dove non passeremo noi, non passerà più nessuno». E' il via libera per piantare i tre cartelli che bloccano la strada. Poi si torna a casa e ci si guarda in faccia: «E' andata bene, no?», «E io che non ci credevo...»