Cpt, Dico e no war Tre sfide di piazza

Roma -

27 febbraio 2007 - Il Manifesto

Cpt, Dico e no war Tre sfide di piazza
Il 10 marzo a Roma ci sarò perché è una manifestazione a sostegno del governo e che si rivolge ai tanti parlamentari che riconoscono la necessità di estendere i diritti. Alfonso Pecoraro Scanio I movimenti non temono la crisi di governo. Sabato a Bologna contro i centri per immigrati. Il 10 tocca ai gay, con Pecoraro. Il 17 contro la guerra, pacifisti divisi
di Eleonora Martini

Le faranno comunque, e con più foga di prima. Che sia per incoraggiare i «cuor di leone» del parlamento sulla linea intrapresa dall'esecutivo ex-dimissionario, piuttosto che per ribadire la «piena autonomia dei movimenti dalle beghe di governo» o, ancora, nettamente contro Prodi e i suoi 12 comandamenti. Le tre manifestazioni nazionali previste nell'arco del prossimo mese sono state comunque confermate.
A cominciare da quella del 3 marzo a Bologna che chiede l'immediata chiusura dei Cpt senza paura di confliggere direttamente con i ministri di riferimento, Amato e Ferrero. Decisamente di sapore diverso l'appuntamento del 10 marzo a Roma che intende «sostenere la linea scelta dal consiglio dei ministri e sollecitare il parlamento ad approvare al più presto una buona legge sulle unioni civili». E a confermare la linea tutt'altro che antigovernativa, la presenza, insieme a tanti parlamentari della maggioranza, del ministro dell'ambiente Alfonso Pecoraro Scanio. «Ci sarò, perché è una manifestazione a sostegno del governo - afferma il ministro - e che si rivolge a quei tanti parlamentari che riconoscono, come ha fatto perfino Gianfranco Rotondi della nuova Dc, la necessità di estendere i diritti. Persino la vecchia Dc permise, stando al governo, che il parlamento votasse la legge sul divorzio».
Fin qui, dunque, defezioni eclatanti - per timore di incrinare il delicato equilibrio (forse) appena riacquistato dalla coalizione di centrosinistra - nessuna. Totalmente diverso invece il discorso sulla manifestazione del 17 marzo a Roma che rende visibile la spaccatura all'interno del movimento pacifista sancita nell'assemblea capitolina di sabato scorso. Alla mobilitazione - organizzata a ridosso del voto sul rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, ma che era stata decisa in concomitanza a decine di altre nel mondo durante l'ultimo Forum sociale mondiale di Nairobi in occasione dell'anniversario dell'attacco all'Iraq - hanno invece aderito solo i Cobas, Cub-Rdb, la Rete del comunisti e il Pcl di Ferrando. E, assicurano, «tanta gente comune, piccoli comitati contro la guerra e pacifisti fuoriusciti dai movimenti tradizionali». Un arco di forze, quello dei promotori, che si è schierato contro il governo dell'Unione se non dal primo minuto, dal secondo. Nessuna contraddizione quindi se oggi considerano il dodecalogo prodiano «una sfida, un tentativo di andare al confronto duro con i movimenti» agito anche dai partiti della sinistra radicale, per dirla con le parole del portavoce dei Cobas, Piero Bernocchi. «E' evidente - continua - che è la sinistra ad essere ostaggio del governo, non il contrario». «Netto e secco anche il dissenso con l'Arci e la Tavola della pace che condividono la linea di D'Alema - si scalda Bernocchi - E non sono nemmeno d'accordo con la Fiom, Attac e Rete Lilliput che non ritengono sia il momento giusto per la riuscita di una grande manifestazione pacifista. Non sarà come Vicenza, ma ci sarà».
Il riassunto per punti delle difficoltà del Prodi 1/bis non è andato giù nemmeno agli organizzatori del corteo bolognese che in esso hanno visto un motivo di più per ricordare che i «Cpt vanno chiusi subito, perché si può». «Non abbiamo alcuna remora nel confliggere, come abbiamo fatto anche nel '98 contro Turco e Napolitano, con Amato e Ferrero, i ministri responsabili di non aver cambiato nulla in questi nove mesi - dice il disobbediente Gianmarco De Pieri, del Tpo di Bologna - Non rimpiangiamo certo l'era maledetta di Berlusconi, ma non abbiamo il problema di sostenere o meno il governo. I movimenti devono agire in autonomia ed è naturale che i ministri siano la loro controparte diretta e immediata». «A Bologna poi c'è stato un inasprimento dei piani di controllo sociale - ricorda De Pieri che raccoglie decine di adesioni anche di personalità del mondo culturale italiano - e le ultime fughe degli immigrati dal Cpt bolognese testimoniano l'invivibilità di quel posto».
Tutt'altra storia quella che proveranno a raccontare il 10 marzo a Roma i tantissimi che hanno già prenotato treni e pullman da nord a sud del paese per chiedere «alle istituzioni italiane di non lasciare che il Vaticano entri a gamba tesa, e mini la loro stessa autonomia. Niente di particolarmente di sinistra - racconta il consigliere Ds dell'Arcigay, Alessandro Zan - è quello che chiedono anche 60 parlamentari della Margherita».
«Una battaglia che non è politica, ma di civiltà: visto che i due milioni di conviventi italiani non sono certo schierati politicamente», commenta la deputata del Prc Vladimir Luxuria. Anche lei ci sarà. Ed è ottimista che «sarà un Dico che non si trasformerà in un dicevo».